In questo Post potete leggere tutte le Interviste rilasciate alla stampa da Renato.
Verrà aggiornato ogni volta che ci sarà una nuova intervista.
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“IL 20 MARZO “PRESENTE” IL NUOVO DISCO DI RENATO ZERO!“
Fonte Rockol.it
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Renato Zero, ecco ‘Presente’: ‘Incito i giovani a non mollare’
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Incita i ventenni all’azione e alla speranza, culla i suoi sogni di infanzia, bacchetta i professori che non sono bravi maestri di vita, ci ricorda che lui è “in pista dai Settanta”, tra Lennon, Bob Dylan e Sting, il vinile e l’mp3. Confessa addirittura una insospettabile voglia di scendere in piazza, “a fargli un culo così” a quelli che stanno rintanati nei palazzi del potere fregandosene dei problemi quotidiani della gente. E’ il Renato Zero saggio e incazzato della maturità, presente all’appello, che alla neoconquistata indipendenza assoluta (vedi News) risponde con un disco denso, lungo, sfaccettato, molto curato nei suoni e nella confezione. “Presente”, nei negozi da venerdì 20 marzo con 170 mila copie distribuite solo in prenotazione (secondo i dati diffusi dall’ufficio stampa) sembra quasi una reazione meditata, un atto di difesa a spada tratta nei confronti della musica “debole e ferita a morte” di cui Zero canta in “Giù le mani dalla musica”. “Siamo al tracollo, purtroppo”, spiega a Rockol. “Oggi molti musicisti non hanno neanche i soldi per comprarsi un pedale per la chitarra o un rullante nuovo, altro che appartamento in centro. La musica, io credo, ha ancora molto da dire. Ma forse l’abbiamo affidata alle persone sbagliate, consegnata in mani inopportune. Pensa a come dagli anni Novanta la discografia ha dilapidato il nostro patrimonio musicale a suon di raccolte e greatest hits: è stata una vera razzia, una cosa che offende. Ho sentito un bisogno quasi fisiologico di fare da me, anche se nella mia decisione ha certamente giocato un certo atteggiamento da parte dei discografici. E allora ognuno per la sua strada, senza rammarico e con la consapevolezza che la conquista della libertà passa anche da lì”. La musica è malata? “No, oggi vedo tanti ragazzini che hanno voglia di riscoprire i Pink Floyd, i Chicago, i Blood Sweat and Tears…. Gli interessa sapere da dove veniamo, ed è un interesse che nasce spontaneamente: è malata, la musica, solo perché i dottori non sanno prescrivere i farmaci giusti”.
Anticipato da un singolo pop rock come “Ancora qui” per cui Alessandro D’Alatri ha confezionato un videoclip popolato di celebri comparse (Manuela Arcuri, Asia Argento, Paola Cortellesi, Massimo Ghini, Leo Gullotta, Alessandro Haber, Giorgio Panariello e altri ancora), “Presente” suona come un viaggio musicale e introspettivo, tra la campanella di fine lezione di “Professore” e la delicata “cantastrocca” di Brunialti e Colonnello (“Dormono tutti”) che chiude il disco. “A scuola”, ricorda Renato, “mi inquadrarono subito facendomi capire che lì non c’era posto per me. Ma io sono la dimostrazione vivente che anche se le istituzioni scolastiche ti chiudono la porta in faccia puoi imparare lo stesso a stare in piedi. Mi piacerebbe incontrarli di nuovi, i miei vecchi maestri: non hanno il coraggio di farsi vivi! Perché ho scelto una filastrocca come pezzo finale? Perché riappropriarsi dell’infanzia, quando si è adulti, è fondamentale. Oggi che il mondo non offre più garanzie, chi vuole un luna park in cui sognare se lo deve costruire da sé. E la leggerezza dell’infanzia, la capacità d giocare, la poetica dell’abbandono ti permettono di dialogare con tutti, anche con gli anziani. Serve più quello, che avere quattro lauree”. E’ un tema centrale del disco, il dialogo tra generazioni, l’“incontro” (titolo di un altro brano) tra giovani e adulti. “Così riesco ad accettare le rughe sul volto, il fatto che i fan non vengono più sotto casa per invitarmi a far notte con loro. E’ importante non perdere l’occasione di ascoltare quello che un ragazzo di vent’anni ha da dire. C’è sempre qualcuno, vicino a te, che chiede di essere accompagnato da qualche parte. Che vuole sentirsi raccontare una favola, recitare una poesia. E’ questo che ci tiene vivi”. Ma la voglia di scendere in piazza, quella no, non ce la saremmo aspettata… “Per anni è stato un mio tabù. Non possedevo una tessera e la mia trincea erano piuttosto il Baccarà di Lugo di Romagna, l’Altro Mondo di Rimini. La mia sfrontatezza e i miei costumi di scena. Oggi mi sembra che sia arrivato il momento di tornare a frequentarla, la piazza. I sindacati arrancano, non è più ora di delegare, per ottenere una risposta rapida il messaggio bisogna portarlo direttamente a chi di dovere. Che dovrei fare, calarmi un panama in testa e andarmene ai Caraibi? Non posso mettere a riposo la mia energia, un entusiamo e una creatività che credo ancora di possedere. Per questo incito i ragazzi a muoversi: lo faccio io che di anni ne ho 58, perché non dovrebbe farlo un ventenne? Ho imparato col tempo che se vuoi qualcosa con tutte le tue forze alla fine lo ottieni”. Diavolo di un ottimista, Renato. Che però, in pezzi come “Il sole che non vedi”, non rinuncia a uno sguardo malinconico sul mondo: “Quella canzone è la sintesi di tutto quanto vedo e ascolto in giro, i rumori e i silenzi. La vita ci mette tutto a disposizione ma siamo così stupidi da sciupare le opportunità. Andiamo sulla Luna e un attimo dopo bruciamo Kabul. Dobbiamo guardare l’orizzonte, invece di chinare il capo e mettere a tacere le nostre aspirazioni”.
Vive anche di incontri e variazioni musicali, “Presente”: tra le orchestrazioni classiche del Maestro Renato Serio e la chitarra rock di Phil Palmer, i fiati jazz di Fabrizio Bosso e Stefano Di Battista e il vocione soul di Mario Biondi, coprotagonista di “Non smetterei più”. “Sì, è un disco molto ben frequentato. In ‘’Dormono tutti’ e ‘Vivi tu’ Danilo Madonia, pianista e arrangiatore, ha dato una prova d’autore magistrale. Persino un autorevole personaggio che arriva dalla musica classica non si è accorto che si tratta di un’orchestra campionata…‘Vivi tu’ è una serenata che ho dedicato alla mia prima fan. Stavolta sono io che entro in casa sua per vedere come vive, se ha avuto dei figli e si è fatta una famiglia”. E Biondi? “Mario è una persona generosa, come cantante e come artista. E la generosità è ciò che consegna gli artisti alla storia: pensa a Totò, ad Anna Magnani. Per fare questo lavoro bisogna fare continuamente rinunce: dire di no alle Seychelles e farsi il mazzo al Tiburtino Terzo davanti a una tastiera anche se è il mese di agosto. Biondi ha una famiglia numerosa, sei figli: alla faccia dell’artista asessuato e sconfitto dalla vita, triste e con una P38 nel cassetto. Guadagnare un po’ di serenità non è un male, neanche per il tuo pubblico. Pensa a Lauzi, a come è stato capace di modificarsi nell’approccio scrivendo ad esempio per i bambini, esercitando l’autoironia. Questo lo ha reso ancora più grande. Di Biondi trovo meravigliosa la capacità di far convivere la passione musicale con i suoi impegni di marito e di padre. Da single quale sono, lo invidio un po’ ”. L’ironia è un’arma che Zero frequenta da sempre: ritorna, qui, in titoli come “L’ormonauta” e “Spera o spara”, scritta con Mariella Nava e arrangiata a ritmo di ska. “Quando si parla di ironia mi viene in mente Rino Gaetano. Eravamo amici, ricordo i nostri aperitivi al bar, gli incontri con gli amici a Piazza Navona. Era un ragazzo molto tormentato, ma nonostante quel rodimento interiore riusciva sempre a mostrarsi sorridente. Non me lo ricordo un giorno col broncio, incavolato o non disponibile. La sua morte per me è stato un grande choc. ‘Spera e spara’ è un gioco, ma riflette anche un certo disorientamento, una certa incazzatura per come oggi siamo sballottati dai meccanismi di persuasione occulta che usano anche i politici per ottenere consenso. Ascoltato il pezzo, ho chiesto a Mariella se per caso aveva intenzione di farmi fare una passeggiata negli anni Settanta… Ma come, mi ha risposto, t’ho sempre dato pezzi drammatici e disperati come ‘Spalle al muro’ e oggi che ti porto una cosetta da ridere non ti va bene? E invece mi va bene sì, in un disco che racconta come sono oggi perché rinunciare a un colore che ben si intona con tutti gli altri?”. Zero vecchio stampo, come ai tempi de “Il triangolo”: senza cerone tutine e lustrini, però. “Li ho sempre usati per condire la pietanza, i costumi, per regalare una cornice spettacolare al mio repertorio. Non è che ho solo e sempre tratto vantaggio, da quella mise en scene. L’ho già raccontato: a causa del mio modo di vestire montavo spontaneamente sul cellulare e i poliziotti mi portavano al commissariato dove lavorarava mio padre. Il mio modo di essere sul palcoscenico deriva dalle esperienze che ho fatto: gli incontri con Don Lurio e Franco Estil, con Fellini e Comencini. Gli spettacoli al Teatro Stabile di Genova e tutto il resto”.
Il primo approdo in una “montagna di programmi” che gli frullano per la testa. Fonopoli inclusa, sempre e comunque: “Ho ripreso in mano il progetto, ancora una volta. Stavolta con la benedizione del presidente del Senato. E’ una persona in cui ripongo molta fiducia e spero che mantenga la promessa”.–“IL TEMPO”
Rino Gaetano non era contento del suo cilindro di Feltro. Gli pesava in testa, gli opprimeva i pensieri, e per creare una magia non devi sentitrti schiacciato dalla forza di gravità. In suo soccorso arrivò Renato: “Era il ‘78, stava preparandosi per Sanremo, avrebbe cantato “Gianna”. Pensava a una trovata scenica con un chitarrino, mentre quel cappello proprio non lo convinceva”. Zero sospira e prosegue: «Così gliene regalai uno che avevo in casa, di quelli da prestigiatore, piatto come una sogliola. Lo scuotevi con la mano e si apriva, era leggerissimo: dissi a Rino, ti porterà fortuna per la carriera».
Eravate buoni amici.
«Gli volevo così bene. Lo vedevi sul palco con quella rabbia incontenibile, poi lo ritrovavi al bar dell’Rca e ti appariva indifeso, disarmante. La sua timidezza lo fregava, nei rapporti umani. Fosse vivo oggi sai che repertorio. Magari avremmo inciso un disco insieme: è un rimpianto come quello di non aver lavorato con Ivan Graziani. Che non era chiuso come Rino, era più caciarone, sapeva mostrare la propria intimità, pur conservando la sua riservatezza».
Guardiamo ancora nell’album dei ricordi? Patty Pravo.
«Ci siamo frequentati tanto, dal Piper in poi. Me la sono portata spesso a casa, ma Nicoletta è un po’ insofferente. Ha forse paura dei sentimenti, di svelarsi, innamorarsi. L’ultima volta l’ho vista in studio, due anni fa. Spero sempre in una sua telefonata, ma non arriva mai. Vorrà dire che proverò a chiamarla io».
Loredana Bertè.
«Voglio solo che lei stia bene. Ora mi sta a cuore la sua serenità».
Fellini: com’era la storia della corsa in moto?
«Monta sul mio sidecar a piazza del Popolo, e mi dice: amoooree, facciamo un giretto. Pensavo di dare due sgassate e lasciarlo subito da Rosati, ma Federico mi ripeteva: andiamo, andiamo. Arrivammo fino a via Appia, lui sorridente con la sciarpa grigia tesa al vento».
Lei lavorò in tre film del Maestro.
«Particine in “Casanova”, “Roma” e soprattutto “Satyricon”. Rino Carboni mi truccava per ore la faccia applicandovi protesi di lattice, poi ci dipingeva sopra. Giravamo sempre di notte. È stato un privilegio conoscere l’uomo Fellini, che non valeva meno del poeta, del regista, del sognatore. Troppi film gli frullavano per la testa, e lo sceneggiatore Bernardino Zapponi mi confermò che molti non furono mai girati. Perché Federico operava d’istinto, febbrilmente. Quando non era convinto di un progetto lo lasciava a macerare per mesi, e poi addio».
Lei, Zero, ha qualche disco rimasto irrealizzato?
«Semmai ne ho registrati troppi: del resto io sono l’uomo degli eccessi. Rifarei di sana pianta “Artide Antartide”: vendette da dio, ma la realizzazione e gli arrangiamenti erano molto scollati dalla mia idea di partenza. Mentre invece piango ancora l’insuccesso di due album fortissimi come “Leoni si nasce” e “Soggetti smarriti”».
In questo, “Presente”, lancia nuove sfide.
«Sin dalla copertina: io guardo avanti, e tutti gli altri nell’altra direzione. È dai tempi di “No mamma no” che mi prendo le mie responsabilità di artista e di essere umano, con questi valori e sentimenti che pur stressati e dissociati mi sono ancora rimasti attaccati addosso. Ho ancora voglia, a 58 anni, di fare quattro chiacchiere con la vita».
Autoprodurre il cd è coraggio o incoscienza?
«Non ne potevo più del pessimismo dei discografici. Dobbiamo difendere la musica italiana, che rischia di essere spazzata via dalle scelte delle multinazionali: a parte il Sudamerica, dove la esportiamo? E qui, gli addetti ai lavori non se la sentono di investire, di rischiare. Lamentano la crisi e si mettono paura se proponi una collezione ricca, come “Presente”, in cui trovi 17 canzoni. La colpa di quel che accade non è degli artisti: molte etichette sono sparite, e quanto ai giovani, chi li tutela?».
Per fortuna ci sono i talent-show televisivi.
«I coach di programmi come “X Factor” o “Amici” richiamano alla mente la leggendaria figura dell’assistente musicale. Li trovavi nei corridoi della Ricordi o della Rca, e nelle loro mani c’erano le sorti di una canzoni. Suggerivano l’intonazione a esordienti come Endrigo o Paoli, e il gioco era fatto. Ora però tutto questo lo vedi in tv: fossi al posto di quei ragazzi scapperei a gambe levate. Neanche sono nati, come cantanti, e gli sbattono addosso sette telecamere, con i maestri che li nevrotizzano a forza di suggerimenti. Tutto questo mi disturba».
A proposito di tv. Visto Povia a Sanremo?
«È grave se l’interesse del pubblico debba essere esposto a una forma di morbosità, a tutto danno dell’obiettività. Non si può far polemica per cercare il successo, forzando deliberatamente la realtà su temi così delicati».
Sul disco c’è un pezzo, «L’ormonauta», dedicato ai forzati del sesso.
«Anche queste sono creature di Dio, eheheh. Vedi in tv questi palestrati, gonfiati di anabolizzanti e ti aspetti chissà cosa. Se li spiassimo in azione, sai che fischi. Oggi lo stress della performance ci uccide, come quando da ragazzini ci portavano a mignotte per “iniziarci”: ovvio che, davanti alla “panterona”, arrivasse la mortificazione. Il sesso andrebbe vissuto come un’opportunità per conoscere le altre persone: desiderare vuol dire idealizzare. E anche quando sai che non sarà il partner della tua vita, dì dieci avemarie e fai comunque l’amore: capirai molto di te, in chiave spirituale».
Chi è oggi il “diverso”?
«Qualcuno su cui la società specula in modo molto più crudele che in passato». I
n che modo?
«Vai in certi alberghi a sette stelle, selezioni il loro canale tv e ti informano che destineranno parte del tuo conto ai bambini in Africa. Questa è una strumentazione paracula: perché dirmelo? Fatelo e basta. Mettano il cuore oltre lo sponsor. Altro esempio: ci sono bambini con malattie rarissime e le industrie farmaceutiche e i medici non trovano la cura, perché non ci guadagnano. E invece quei ragazzini non possono essere lasciati morire: anche se sono tre al mondo, devono essere tutelati come fossero milioni».
Come ha vissuto la vicenda di Eluana?
«Male. Nessuno sa davvero immedesimarsi nei protagonisti di storie così dolorose. La chiave di lettura è nella parentela. Capire cosa significhi essere il padre, o la figlia che giace su quel letto da un tempo interminabile. Attorno a loro, ogni giudizio dovrebbe essere sospeso. Il valore della vita è immutabile, e nessuno poteva permettersi di affermare che quella di Eluana valesse meno. Se parliamo di accanimento terapeutico, lo considero una inutile violenza. Ma non riuscirei a smettere di alimentare una persona di cui ignoro il livello di sofferenza. E trovo sbagliato che la sentenza sia emessa da un magistrato o da un prete: ogni decisione deve essere presa da una comunità che dialoga, invece di spaccarsi. In un momento tanto grave, quella famiglia non doveva essere lasciata sola. Questa sarebbe stata civiltà».
Siamo tutti “soggetti smarriti”, Renato?
«Troppi avvenimenti ci colgono alla sprovvista. Non siamo più abituati alla piazza, allo scambio, al confronto. Una volta ci annusavamo, mischiavamo le idee. Anche l’extracomunitario resta sulle sue posizioni, non cerca l’integrazione. Se giro per Roma e parlo in dialetto con i bottegai, quelli non mi capiscono. Sono arrivati qui massicciamente, ed è giusto offrir loro una mano tesa e una minestra: ma intanto abbiamo perso tutti la capacità di ragionare insieme e di comprendere i nostri valori. Restiamo inebetiti. Per dire: non riusciamo ad essere disperati neppure se stuprano una creatura in un parco. E invece, di fronte a certe scelleratezze, dovremmo reagire».
Si spieghi.
«Lo dico in una canzone, “Almeno una parola”: di fronte al dolore e al disagio la difesa migliore non è l’omertà o la rassegnazione, ma il ripristino di una più completa vita sociale».
Ma a chi è rivolta questa parola?
«A tutti. Perché cittadini onesti e malviventi sappiano che ci sono regole da far rispettare con fermezza. Siamo tutti esposti ai soprusi. Non invoco la frusta o una repressione violenta, ma non possiamo restare inermi di fronte al dramma di una ragazzina abusata, il cui carnefice magari esce il giorno dopo di prigione. In qualche modo, è figlia di tutti noi. Proteggiamola».
Ne “Il sole che non vedi” canta: “La violenza è il nuovo Vangelo/Cristo non c’è”.
«Ho paura che la legge del più forte oscuri la continuità della Fede. Io sono cattolico e invoco Cristo, il laico potrà chiamarlo come vuole, ma neppure lui vorrà veramente sbarrarsi la porta di un futuro più luminoso per questa esistenza».
E in un altro pezzo, “Ancora qui”, ipotizza: “Finalmente arriva il giorno in cui fai pace con te stesso”. Ci siamo?
«La rincorriamo sin dal momento in cui veniamo al mondo, e riusciamo perfino ad accettare la morte perché ce la fa intravedere, quella pace. Ma io sono sempre arruolato per qualche guerra, con quest’inquietudine che zampilla dentro di me».
Confessa: “Non smetterei più”, e ripete che “questa mia vita è un eterno concerto”.
«È perché temo di svegliarmi in un mondo dove non ci sia più un angolo dove montare un palco per cantare. È già accaduto con le sale da cinema: oggi ci trovi parcheggi, centri commerciali. E siamo costretti a vederci i dvd in salotto, sconfitti dalla solitudine, senza più poter condividere una risata o una lacrima. Anche per questo, sono ancora qui».–Tratto da un intervista della Venegoni:
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Presente è un album a più piani, ruggente e fiero, compiaciuto e pungente, spesso autocelebrativo e un po’ Sixties. Con l’Orchestra Sinfonietta di Roma diretta da Renato Serio a volte coautore, con fior di musicisti fra i quali Phil Palmer alla chitarra, con ricami di jazzisti come Stefano Di Battista e Fabrizio Bosso; c’è un morbido duetto con la voce cavernosa di Mario Biondi in Non smetterei più; c’è una eco gaberiana in L’ormonauta; c’è rumoristica simpatica, cerniere che si chiudono e carillon che dormicchiano nella deliziosa ninnananna che chiude l’album: che si apre, invece, con la rivendicazione della cultura di strada contro quel Professore che non lo capì a scuola. Il videoclip, girato da Alatri, è pieno di amici attori: Asia Argento, Paola Cortellesi, Manuela Arcuri, Alessandro Haber, Rocco Papaleo, Giorgio Panariello. In attesa di raccontarsi da Fabio Fazio sabato, Renato Zero si è sfogato in quiete con noi.
Ricominciare.
«Mi ha ferito come sono arrivato a questo punto. Il saluto con la Sony è stato traumatico e riguadagnare la libertà mi ha rattristato; questi ragazzi che lavorano nelle multinazionali non dovrebbero dimenticare di essere italiani: il risultato dei nostri sforzi viene portato in Usa o Giappone. Il nostro Paese produce agricoltura e turismo, ma la musica l’abbiamo inventata noi: resti dunque a casa nostra, ma gestiamola. Loro ci tirano addosso Springsteen, che è pesante e fa male; non si trova neanche posto negli espositori di dischi, perché Madonna occupa tutto. Di questo parlo in Giù le mani dalla musica. Non ho mai pensato di abbandonare, sono un pischello anche se fra 2 anni ne avrò 60: certo non farò dischi a 102 anni perché mi ballerà la dentiera, però finché ci sono io c’è il mio passato, e datemi speranza per il futuro. Ci fossero ancora Gaber, e De André, che con la loro personalità hanno reso possibili tante cose…».
«Io sono in pista dal 70».
«Io e i miei amici si siamo scontrati per strada e non nelle manifestazioni politiche, con i benpensanti. Molti di noi hanno imbracciato la siringa per non sentirli né dentro né fuori. Io ho avuto piume e lustrini, sono stato fortunato ad aver scelto la provocazione massiccia. Oggi si parla di omo ed etero, ma quando si parla di persone? Gli abusi di questi tempi vengono dalla disperazione, è uno sfoggio di malessere. Anche con i bimbi bisogna essere meno aggressivi: la mamma veste il suo piccolo di 2 anni come ne avesse 8, e lo tratta come se ne avesse 18; ma prima di discutere in casa di certe cose, perché non li portano dai nonni?».
Sesso.
«In L’ormonauta parlo dell’invasione della tecnologia nella nostra vita privata. Magari sei tranquillo a letto, sul più bello, ti arriva quello da Skype: “Che, stai a scopà?”; arrivano quelli delle paraboliche, ti suona tutto quel che hai in casa. Il sesso per i giovani è una gran cosa, uno sfogo. Se lo fanno bene la vita va meglio, si scaricano».
I reality musicali.
«I giovani debbono poter avere una identità sociale e culturale, prima che artistica. Troppo spesso in tv vengono gettati allo sbaraglio, senza essersi fatti le ossa. Il ruolo di X-Factor e Amici è positivo, per il recupero dei coach, degli assistenti, dei direttori: ma nell’arena bisogna arrivarci attraverso verifiche personali, per gradi, lontani dalle telecamere».–IL GIORNALE:
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E allora vedete che si può ricominciare daccapo. «Ebbene sì, sono tornato alle origini» spiega Renato Zero che stavolta l’ha combinata grossa: lui, cioè un’istituzione del nostro pop che avrebbe potuto campare di rendita vita natural durante, ha azzerato tutto lasciando la sua vecchia casa discografica e tornando, come dice orgogliosamente, «a curarmi tutto da solo con la mia etichetta che si chiama Tattica: prima dovevo fare troppi compromessi». Risultato: il cd che esce dopodomani (domani intervista su Rtl 102,5 poco prima di mezzanotte) si intitola Presente e ha già venduto 170mila copie solo in prenotazione. Ergo: un successone. E d’altronde il disco vale assai perché, detto così semplicemente, è bello, cammina in equilibrio su di un filo emotivo che rimane teso dall’iniziale Professore fino a Dormono tutti, zigzagando tra gli stili e i pensieri e le confessioni, tra divertite apologie del sesso (L’ormonauta) e invettive quasi goliardiche (Spera o spara). Per di più ci sono pure due ospiti (Mario Biondi in Non smetterei più e il sax di Stefano Di Battista) che più diversi non si può eppure così ben amalgamati, una sciccheria. Perciò bravo, Renato Zero: missione compiuta. Ed è una grande lezione per chi pensa che a 58 anni, anzi a «quasi tre volte vent’anni» come dice lui ridendo, si possa solo avere un grande futuro dietro alle spalle.
Però, caro Renato Zero, c’è voluto un bel coraggio.
«Diciamo che il risultato è stato la più bella vacanza della mia vita».
Altro che vacanza: i brani grondano realtà sofferta, riflessioni sarcastiche, speranze quasi utopiche.
«Alla mia veneranda età io sono ancora single: sarà per questo che riesco a scippare tutte queste emozioni dalla vita che mi circonda».
Ne «L’incontro» dice: «Io sono in pista dal Settanta/ Fra Dylan, Lennon e Sting».
«E poi canto: “giovani salvatevi, fatevi conoscere”. È il mio invito a questa nuova generazione che non si lascia amare. Ma la colpa non è dei ragazzi: la colpa è la nostra che abbiamo fatto solo danni».
Il risultato è, come dicono, che siamo diventati un Paese di vecchi.
«Più che di vecchi, di gente immobile. Talmente immobile che preferisce togliersi quindici anni dal chirurgo estetico per fingere di non cambiare mai. Se ce le hai, ‘ste cavolo di rughe, vuol dire che almeno hai vissuto».
Ma scusi, anche lei non era passato dal chirurgo?
«Sono andato dall’ex marito della Santanchè, avevo il doppio mento che volevo togliere. Ma posso dirla tutta?».
Prego.
«Non ho risolto nulla. Ero in un momento di debolezza e ho deciso di fare quell’operazioncina. Ma sconsiglio a chiunque di farlo: per star bene ci vuole altro».
Tanto i giovani impazziscono ancora per Renato Zero.
«E io me ne accorgo anche per strada, camminando, e ci godo».
I nuovi cantanti godono meno. Sono tempi duri.
«Per gli autori di canzoni, senz’altro. Diciamo che la cosiddetta “formula Max Pezzali”, tutta sballata metricamente, mette in crisi la vecchia generazione. Io non passai l’esame Siae perché avevo sbagliato un solo accento».–Tratto da LIBERO:
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Perché un self made cd?
«Noi artisti dobbiamo essere liberi, nella fase creativa e in quella della fatturazione di un cd. Finora sono stato costretto a rivolgermi a una major: era come chiedere le chiavi di una casa d’altri per andarci a fare quello che ti gusta di più. Se po’?».
Diciassette canzoni: Mario Biondi ospite in “Non smetterei più”, Maria Nava che firma “Spera o spara”, un bell’inno all’amore ne “Un’altra gioventù”, l’orchestra Sinfonietta del maestro Renato Serio. Un piatto ricolmo…
«L’aspetto creativo ha avuto un bell’impulso in questa scelta di libertà. I brani sono sgorgati in modo istintivo».
Nel disco c’è una canzone-manifesto: “Giù le mani dalla musica”. Dove canta: “…ferita a morte anche lei… puoi salvarla se vuoi, ti amerò se lo fai…”.
«La nostra generazione ha dato e avuto tanto da questo mondo. È una difesa dei colleghi più giovani che incontrano difficoltà impensabili per diventare artisti di livello. Hanno le porte chiuse».
Non crede in programmi come X-Factor o Amici?
«Non è questione di fiducia nei confronti di questi format. Hanno sdoganato la musica in tv ma rischiano di provocare delusioni in artisti in erba che dovrebbero crescere facendo la gavetta, come ho fatto io, e non davanti alle telecamere. Dove soffrono».
Lei, però, fu costretto a travestirsi e a crearsi un personaggio alternativo per emergere.
«Caro mio, negli anni ’70 comandava la famiglia cantautorale, mi feriva… Se non eri dalla loro parte mica facevi carriera. Per salvarmi, mi sono disegnato una cornice tutta mia».
Nacque allora il Re dei Sorcini: sono stati quelli gli anni più belli della sua vita?
«Lo sono anche quelli attuali: quando voglio, posso tornare bambino. Che c’è di più tenero?».
Questo il disco più autobiografico della sua carriera: la prima canzone “Professore” è legata ai ricordi scolastici, l’ultima (“Dormono tutti”) è una ninna nanna disneyana.
«È un concept-disc nel quale esalto le rughe, le disillusioni, i ricordi della gioventù, le speranze dei ragazzi di oggi, l’amore che ritorna, la vita che rigira».
C’è anche il sesso.
«Poteva mancà? Nella canzone “L’ormonauta”, dove ho ospitato i fiati straordinari di Fabrizio Bosso e Stefano Di Battista ho creato questo essere che vive di sesso. Il sesso è essenziale, non peccato come diceva la chiesa».
Cosa fa Renato Zero quando non pensa alla musica e al sesso?
«Impazzivo per la Playstation, ora preferisco lo scopone scientifico. Alla consolle sei solo, con le carte studi gli avversari e impari a bluffare. Mi è servito quando ho dovuto firmare alcuni contratti».
E la politica? Da che parte sta?
«Oggi scegliere un partito in Italia equivale a entrare in un supermercato: ci trovi di tutto, ma alla fine esci senza aver comprato niente».–
TG 1 Edizione delle 20.00
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-c739b943-d8d2-4793-ba31-c7a0145f71e9.html
–TG 5
http://www.video.mediaset.it/mplayer.html?sito=tg5&data=2009/03/17&id=34788&from=link
UNO MATTINA
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http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-14d069fe-bb2d-4d5c-935b-f9332f263413.html